domenica 17 ottobre 2010


Zenone, l’alchimista dell’anima

Una delle intuizioni più feconde e originali dell’opera di James Hillman è quella che si riferisce all’originaria e profonda mutilazione che, già in tempi remoti, la cultura occidentale si è più o meno consapevolmente autoinferta. In molte delle sue opere, Hillman ha richiamato l’attenzione su come all’origine dell’angusto dualismo occidentale corpo/spirito – che è alla base di tutti i principali atteggiamenti schizofrenici della nostra cultura – vi sia il preciso intento, da parte della tradizione teologica dominante imposta inizialmente dalla Chiesa bizantina, di sbarazzarsi della “terza dimensione”, del “terzo genere di essere” che pertiene all’uomo: l’anima. La sede principale dell’immaginazione, ossia del luogo interiore in cui si lasciano ascoltare le “voci degli Dei”, i simboli mitologici degli archetipi della psiche.

Cercando di verificare ulteriormente le illuminanti intuizioni hillmaniane sopra esposte, proverò a prendere in esame il romanzo L’Opera al Nero di Marguerite Yourcenar (1903-87). Il libro, pubblicato a Parigi nel 1968 offre come forse nessun altro, a un lettore non esperto dell’epoca rinascimentale, l’occasione di una affascinante introduzione alla vita quotidiana dell’età di Paracelso e di Giordano Bruno. Nel saggio che fa seguire al suo romanzo, la scrittrice ci tiene a dichiarare la natura soltanto “immaginaria” e “letterararia” di Zenone (il medico-filosofo-alchimista che le cui vicissitudini sono al centro del romanzo). Viene al tempo stesso sottolineato come la figura del pensatore errante le sia stata, fin dalla giovinezza, ispirata dall’esempio delle vite e dall’opera di alcuni dei principali protagonisti del pensiero e della magia rinascimentali: da Paracelso a Leonardo da Vinci, da Cornelio Agrippa a Tommaso Campanella.

Zenone ci si presenta come una sintesi letteraria pressoché completa del filosofo rinascimentale, con i suoi incontenibili slanci scientifici e le profonde incursioni alchemiche (che lo mettono in cattiva luce agli occhi sempre sospettosi del Sant’Uffizio dell’Inquisizione), il suo inquieto vagare per le principali corti europee, i suoi dubbi teologici e la sua spontanea adesione alla religione hermesiana dell’Anima Mundi.

È possibile riconoscere senza troppe forzature interpretative nell’opera e negli amplissimi interessi conoscitivi di Zenone il ritorno in grande stile, in piena epoca rinascimentale, della “terza componente” antropologica: quella dimensione immaginale dell’anima che non si è mai rassegnata a restare in secondo piano nella vita dell’uomo occidentale.

Fin dalle prime battute, quando avviene l’incontro tra il giovane Enrico-Massimiliano Ligre, rampollo di una delle più ricche famiglie belghe, e l’altrettanto giovane Zenone, già intento a inseguire per tutto il mondo allora conosciuto non si sa quale arcana verità, si delinea quella che sarà poi la principale opposizione che informa L’Opera al Nero. Enrico-Massimiliano – al pari del cugino Zenone – è una figura archetipica, che condensa in sé i profondi impulsi corporei dell’uomo occidentale di ogni tempo e nazionalità. Dopo essersi casualmente reincontrati, i due giovani s’intrattengono reciprocamente, raccontandosi impressioni sulla vita e le avventure che erano loro fino a quel momento capitate. Enrico-Massimiliano, che già a sedici anni provava l’irrefrenabile esigenza di affermarsi nell’àmbito degli onori politici e militari, può così dichiarare che scopo della propria vita sarebbe stato quello di “essere uomo”. Il cugino Zenone, al contrario, già a vent’anni aveva ben chiaro l’intento di voler “esser più che un uomo”.

Per chi ancora non avesso compreso come l’età rinascimentale, specie dopo l’intrasingente spaccatura confessionale e politica provocata dalla Riforma teologica luterana, fosse un’epoca tra le più travagliate e dolorose, sotto il profilo politico e sociale, dell’intera storia europea, L’Opera al Nero della Yourcenar offre un’eloquente quadro della cupa ferocia che funestava quei tempi. Dietro le più accanite manifestazioni di zelo e di intolleranza religiosa, si poteva vedere messa in atto la cupidigia e la ferocia degli arroganti potentati di turno, che si dimostravano pronti a mandare al macello le classi popolari a essi sottomesse pur di non rinunciare ai loro privilegi personali.

Messo di fronte alle opposte efferatezze di cattolici e di riformati, facenti entrambi ricorso al “metodico abominio di un supplizio ordinato in nome di un Dio di bontà”, Zenone, fin dalla più giovane età, si sente spinto a prendere le debite distanze da ogni confessione cristiana, sollevando intorno a sé il sospetto, volta per volta, di ateismo o di eresia. Per guadagnarsi da vivere, Zenone esercita l’attività di medico, decidendo così di portare un po’ di conforto ai corpi sofferenti delle persone di più differente estrazione, esuli come lui, bambini perseguitati per il loro credo religioso, nobili moribondi, appestati:

“Qualunque cosa facesse, la meditazione lo riconduceva sempre al corpo, suo principale oggeto di studio”.

L’attenzione del medico-alchimista per i bisogni del corpo, nell’intreccio narrativo va di pari passo con la minuta descrizione del peso dell’esistenza “soltanto corporea” dell’uomo. Il mondo dominato dai più bassi istinti, nel quale lo stretto vincolo tra la sete di potere e di guadagno e quella di un materiale e “meccanico” godimento dei sensi, viene reso attraverso un’eloquente metafora, con la quale la Yourcenar traccia un memorabile ritratto dell’ambiente domestico della famiglia tedesca dei Fugger, i più potenti banchieri dell’epoca:

“Ad altri gli scampanii o lo scoppio delle bombarde, i cavalli scalpitanti, le donne nude o ammantate di broccato, ad essi [i Fugger] la materia vergonosa e sublime, disprezzata pubblicamente, adorata o covata in segreto, che somiglia alle parti nascoste in quanto se ne parla poco ma vi si pensa continuamente”.

Allo sguardo sempre attento e profondo del filosofo ermetico Zenone, le interminabili dispute teologiche che infiammavano la sua epoca – e che rimandavano, sempre mettendo a frutto l’intuizione di Hillman, alla dimensione simbolica dello spirito – apparivano sempre più come il lato d’ombra delle efferatezze che colpivano il corpo abbandonato a se stesso, a queste ultime perfettamente complementari. Lo si comprende in modo particolarmente convincente dalle discussioni che il medico Sebastiano Theus (il nome di fantasia sotto cui si nascondeva prudentemente lo stesso Zenone, allorquando decise di arrischiarsi a tornare a Bruges, il suo luogo natale) intavolava con il priore dei Cordiglieri, l’unica persona che Zenone-Sebastiano reputava degna della propria amicizia e delle proprie confidenze.