domenica 30 ottobre 2011

Laboratori immaginali d'infanzia

C’è silenzio in aula, un silenzio colmo di attenzione, concentrazione, contemplazione. Sta parlando un’immagine e i bambini la stanno ascoltando con la partecipazione di tutti i sensi, la sfiorano, fanno scorrere lentamente le loro dita lungo i contorni del quadro e tra le linee nere che disegnano forme inconsuete, si muovono tra le sfumature di colore e ne percepiscono la corposità e il diradarsi. Avvicinano il loro viso al quadro oppure lo allontanano per vederlo da un’altra distanza, lo capovolgono o lo mettono in posizione orizzontale per osservarlo da diverse prospettive.
E’ il primo passaggio di un esercizio immaginale proposto ad alcune classi della scuola primaria all’interno di un progetto di sensibilizzazione alla diversità e alla disabilità promosso dall’associazione L’Abilità. E’ il momento della visione a cui i bambini sono introdotti e predisposti dall’ascolto di un brano musicale e dall’invito a concentrarsi sull’opera, che ognuno di loro ha sul proprio banco, con rispetto e accuratezza. Dopo la visione chiedo ai bambini di girare il quadro e lo spazio bianco del foglio apre e favorisce una fase di meditazione silenziosa in cui cominciano a disegnarsi appassionate e precise descrizioni, riproduzioni del quadro attraverso le parole, e accenni di interpretazioni. Dopo una prima scrittura, i bambini alternano nuove visioni con altri affioramenti di particolari e dettagli che condividono durante la circolazione. Ognuno legge quello che ha scritto, ciò che ha visto, in un’atmosfera protetta e depurata da qualsiasi frenesia di prestazione e di giudizio che impedirebbe il fluttuare e lo scambio di timide emergenze di senso e bloccherebbe il dialogo che i bambini intraprendono tra di loro e con il quadro. Un dialogo attraverso cui emergono nuovi particolari, si approfondiscono i dettagli e si cercano insieme possibili risposte e significazioni della diversità e della disabilità con l’opera del pittore francese Georges Rouault “Il pagliaccio ferito”. Opera ambigua e ambivalente dai colori opachi e accessi situata tra la luce e il buio, l’alba e il tramonto e che situa in uno spazio di dubbi e contraddizioni, in cui spesso i bambini faticano a sostare e mi chiedono di svelargli il senso dell’opera, il suo segreto. Un’ immagine che parla di tristezza, malinconia, dolore, ferita, morte, di quelle dimensioni legate visibilmente e indissolubilmente alla disabilità, ad ogni condizione di minorazione. I tre personaggi, marionette o figure umane, sono segnati dalla ferita, portano su di sé il segno del danno, per natura o per determinazioni esterne. Hanno uno sguardo basso, vuoto, «uno solo vede veramente la luna, gli altri la vedono immaginandola», descrive un bambino, ma anche «la luna li guarda» aggiunge un altro. La loro postura instabile e claudicante esprime un momento di debolezza e sofferenza di cui si fa spettatore e custode il personaggio più basso, una figura mercuriale e bricconesca che sembra offrire agli altri due un dono prezioso per una possibile guarigione o forse vuole giocare un tiro scherzoso e maligno. E ancora l’immagine parla ai bambini nascondendo e svelando un volto, in alto, nella cornice interna del quadro. Una figura enigmatica, indefinibile nel genere e nell’età, uno stregone con un pappagallo sulla spalla, una figura diabolica che sembra essere indifferente alla tristezza dei personaggi, ma anche una figura numinosa che plasma e forse dipinge il quadro, una sfinge che pone l’enigma della presenza misteriosa del male o un burattinaio che anima e manovra le sue marionette, che è chiamato a integrare il dire e il muoversi frantumato e parziale di coloro che si trovano ad affrontare il mondo in condizioni di particolare minorità, “ponendo le condizioni perché una soggettività compromessa e deficitaria possa ambire a una sua riconoscibilità”.
Questi sono i primi e provvisori significati di un’esperienza in corso e appena iniziata ma che cominciano ad offrire una prima rinnovata e approfondita visione dell’oggetto, una visione che fa emergere la complessità e la molteplicità dei volti della disabilità, oltre la sua medicalizzazione e al di là dell’atteggiamento compassionevole o di sottile scherno che esprimono anche i bambini, già condizionati dai pregiudizi e stereotipi della nostra società che emargina e allontana ciò che è differente, che può spaventare, che è minorato, in ritardo, incapace e impossibilitato ad alzarsi e a correre al ritmo serrato di ogni crescita e progresso. Per questo ci sembra necessario continuare a pensare e istituire un laboratorio immaginale per i bambini, uno spazio e un tempo prezioso e concentrato dove venire in contatto con l’inconsueto e il misterioso nell’incontro particolarissimo con l’opera d’arte per esplorare, perdersi e sostare nella ricchezza inesauribile dei suoi significati, per arricchire l’immagine e l’immaginazione del volto misterioso e profondo della minorità e della differenza.
Concludo questo post, e ogni incontro, con i titoli attraverso cui i bambini “ribattezzano” l’opera, gli offrono in dono un nuovo e rinnovato nome.
«Una grande disperazione. Il personaggio ammalato e ferito. L’alba triste e grigia. Era notte…Le persone che si aiutano l’un l’altro. Aiutarsi a vicenda. Bisogna affrontare… La differenza umana. Un dono non accettato. Anche se burattino ferito».