
Ogni volta
che mi accorgo di atteggiare le labbra al torvo,
ogni volta che nell’anima scende come un novembre umido e piovigginoso,
ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me (…)
Allora dico che è tempo di mettermi in mare al più presto, questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. (Melville)
Con queste parole,
prese direttamente dall’incipit di Moby Dick, comincia Una tazza di mare in tempesta, di Roberto Abbiati.
Uno spettacolo in una
scatola.
Una scatola di legno
per contenere poche persone, il pubblico, insolito carico della stiva di una
baleniera.
Una piccola
installazione per un breve spettacolo, fatto di pochi piccoli oggetti che
possono evocare grandi cose: disegni, sculture, lampadine, oggetti d’uso
quotidiano suggeriscono balene, velieri e oceani…
Le cose raccontano
l’ossessione di Achab per la sua Moby Dick, costringendo lo spettatore ad
un’instabile postura e ad una scomoda seduta. Dal centro della scatola occorre
continuamente voltarsi, torcersi e cambiare il proprio punto di vista, per non
perdere il sottile e delicato filo della narrazione che va in scena.
Si è trascinati in
un vortice di scene, o meglio quadri in miniatura da contemplare per pochi
istanti che, dal buio in cui siamo immersi, appaiono illuminati dalla fievole
luce di una lampadina: l’ombra di un veliero, la corda che si strappa, la lotta
con l’animale, il temporale…
Uno spettacolo per adulti che incanta anche i bambini.