domenica 12 maggio 2013

Il corpo al centro del cerchio. La roda di capoeira.


 


Un cerchio disegna e delimita lo spazio, la musica scandisce il tempo, l’energia si irradia dai corpi e il gioco ha inizio. E’ la roda di capoeira, un cerchio di persone all’interno del quale si danza e si gioca capoeira.
Due giocatori si dispongono al centro del cerchio e si sfidano danzando una lotta che ha origini da  lontani rituali di alcune tribù dell’Africa centro-occidentale. I corpi sono vigili, attenti, attaccano e si difendono per dimostrare la propria superiorità senza l’intenzione di distruggere il rivale e nel rispetto dell’avversario, soprattutto quando questo non può difendersi. Si avvicinano e allontanano, avanzano e indietreggiano, si sfiorano, si provocano, si intrecciano sinuosi senza toccarsi come se “l’azione non terminasse lì dove il gesto si arresta nello spazio ma continuasse molto più avanti”. Compiono movimenti acrobatici, fluttuando nell’aria e mantenendo al contempo un contatto imprescindibile con la terra. E dal suolo, dal battito dei piedi si modella la forma del movimento, si irradia l’energia che come linfa vitale rende vivo l’intero corpo fino a confluire nelle braccia, nelle mani e nelle dita che nelle loro molteplici possibilità di articolazione esprimono mute l’intenzione di colpire, di difendersi, di ammaliare o ingannare l’avversario.
I corpi sono tesi nell’opposizione di forze e tensioni contrastanti che alterano il loro equilibrio rendendoli  “decisi”, sempre pronti ad agire, a spiccare il volo e “fortemente presenti”. E questa danza di opposizioni, come indica Eugenio Barba, viene danzata nel corpo prima che con il corpo e conferisce al capoeirista una qualità di presenza che colpisce e obbliga gli spettatori a guardarli. Per raggiungere questa qualità speciale di presenza è necessario un allenamento, una disciplina, una tecnica del corpo che permette di sviluppare una profonda consapevolezza e sapienza corporea per poi improvvisare, per agire e lasciarsi agire liberamente dal proprio corpo e dal corpo dell’altro in un intrecciarsi di movimenti e gesti che fanno sviluppare l’azione del gioco in maniera imprevista nello spazio normato della roda.
Nell’ambito di questa arte marziale, Mestre Bimba è stato il primo educatore di capoeira che, negli anni trenta del secolo scorso, ha creato la prima academia e ha istituito una preparazione basata sull’esercizio e sulla disciplina che non era finalizzata solo alla partecipazione alla roda ma comprendeva un progetto di formazione dell’uomo, un progetto di perfezionamento del corpo-mente per poter affrontare  l’avversario così come la vita.
La roda è uno spazio speciale, è un cerchio magico, una festa dove le persone si riuniscono solo per giocare, per danzare, senza uno scopo altro dal piacere che si vive nel momento presente. É una radura, uno spazio d’incontro, di attenzione, ascolto, cura e rispetto ma anche di astuzia, malizia, incantamento e sorpresa. Un luogo ambivalente dove si intrecciano inestricabili la collaborazione e la competizione, il corpo e la mente, la libertà e la regola, il divertimento e la serietà, le emozioni e la razionalità, la spontaneità e la finzione.
Spazio ludico e spazio educativo che fa risplendere il corpo nella sua integralità, lo mette al centro del cerchio dove si danza per lottare e si lotta per danzare, per rivendicare la presenza del corpo e del gioco dalla soppressione continua e incessante che avviene nei luoghi dell’educazione. E allora in ogni scuola, di ogni ordine e grado, si potrebbe e dovrebbe dedicare un tempo alla capoeira, così come alla danza, al teatro, alle arti marziali e circensi, a tutte quelle attività corporee che aprono alla possibilità di giocare il corpo e con il corpo, di sperimentare le istanze “pericolose e inaccettabili”, lo spirito bellico, aggressivo, la violenza, che ci sono necessariamente in ogni bambino, adolescente, ragazzo facendogli provare l’eccitante finzione di un battaglia in una “forma fittizia e artificiale, totalmente protetta”.
Ma credo che anche ogni educatore e insegnante dovrebbe dedicare il suo tempo di formazione alla scoperta e al perfezionamento del suo corpo-mente per prendere consapevolezza del suo esserci come presenza integrale, corporea e desiderante e per provare a mettere finalmente in discussione gli assiomi razionalizzanti e disciplinanti che ci muovono come marionette sulla scena formativa, legati ai fili di un sapere vetusto e incrollabile.