Un cerchio disegna e delimita lo spazio,
la musica scandisce il tempo, l’energia si irradia dai corpi e il gioco ha
inizio. E’ la roda di capoeira, un cerchio di persone all’interno del quale si danza
e si gioca capoeira.
Due giocatori si dispongono al centro
del cerchio e si sfidano danzando una lotta che ha origini da lontani rituali di alcune tribù dell’Africa
centro-occidentale. I corpi sono vigili, attenti, attaccano
e si difendono per dimostrare la propria superiorità senza l’intenzione di
distruggere il rivale e nel rispetto dell’avversario, soprattutto quando questo
non può difendersi. Si avvicinano e allontanano, avanzano e indietreggiano, si
sfiorano, si provocano, si intrecciano sinuosi senza toccarsi come se “l’azione
non terminasse lì dove il gesto si arresta nello spazio ma continuasse molto
più avanti”. Compiono movimenti acrobatici, fluttuando nell’aria e mantenendo al
contempo un contatto imprescindibile con la terra. E dal suolo, dal battito dei
piedi si modella la forma del movimento, si irradia l’energia che come linfa
vitale rende vivo l’intero corpo fino a confluire nelle braccia, nelle mani e
nelle dita che nelle loro molteplici possibilità di articolazione esprimono
mute l’intenzione di colpire, di difendersi, di ammaliare o ingannare l’avversario.
I corpi sono tesi nell’opposizione di
forze e tensioni contrastanti che alterano il loro equilibrio rendendoli “decisi”, sempre pronti ad agire, a spiccare
il volo e “fortemente presenti”. E questa danza di opposizioni, come indica
Eugenio Barba, viene danzata nel
corpo prima che con il corpo e
conferisce al capoeirista una qualità di presenza che colpisce e obbliga gli
spettatori a guardarli. Per raggiungere questa qualità speciale di presenza è
necessario un allenamento, una disciplina, una tecnica del corpo che permette
di sviluppare una profonda consapevolezza e sapienza corporea per poi
improvvisare, per agire e lasciarsi agire liberamente dal proprio corpo e dal
corpo dell’altro in un intrecciarsi di movimenti e gesti che fanno sviluppare
l’azione del gioco in maniera imprevista nello spazio normato della roda.
Nell’ambito di questa arte marziale,
Mestre Bimba è stato il primo educatore di capoeira che, negli anni trenta del
secolo scorso, ha creato la prima academia
e ha istituito una preparazione basata sull’esercizio e sulla disciplina che
non era finalizzata solo alla partecipazione alla roda ma comprendeva un
progetto di formazione dell’uomo, un progetto di perfezionamento del
corpo-mente per poter affrontare l’avversario così come la vita.
La roda è uno spazio speciale, è un
cerchio magico, una festa dove le persone si riuniscono solo per giocare, per
danzare, senza uno scopo altro dal piacere che si vive nel momento presente. É
una radura, uno spazio d’incontro, di attenzione, ascolto, cura e rispetto ma
anche di astuzia, malizia, incantamento e sorpresa. Un luogo ambivalente dove
si intrecciano inestricabili la collaborazione e la competizione, il corpo e la
mente, la libertà e la regola, il divertimento e la serietà, le emozioni e la razionalità,
la spontaneità e la finzione.
Spazio ludico e spazio educativo che fa
risplendere il corpo nella sua integralità, lo mette al centro del cerchio dove
si danza per lottare e si lotta per danzare, per rivendicare la presenza del
corpo e del gioco dalla soppressione continua e incessante che avviene nei
luoghi dell’educazione. E allora in ogni scuola, di ogni ordine e grado, si
potrebbe e dovrebbe dedicare un tempo alla capoeira, così come alla danza, al
teatro, alle arti marziali e circensi, a tutte quelle attività corporee che
aprono alla possibilità di giocare il corpo e con il corpo, di sperimentare le
istanze “pericolose e inaccettabili”, lo spirito bellico, aggressivo, la
violenza, che ci sono necessariamente in ogni bambino, adolescente, ragazzo
facendogli provare l’eccitante finzione di un battaglia in una “forma fittizia
e artificiale, totalmente protetta”.
Ma credo che anche ogni educatore e
insegnante dovrebbe dedicare il suo tempo di formazione alla scoperta e al
perfezionamento del suo corpo-mente per prendere consapevolezza del suo esserci
come presenza integrale, corporea e desiderante e per provare a mettere
finalmente in discussione gli assiomi razionalizzanti e disciplinanti che ci
muovono come marionette sulla scena formativa, legati ai fili di un sapere
vetusto e incrollabile.