lunedì 27 agosto 2012

"Angeli dormienti" tra cielo e terra

 
“Music  is well said to be the speech of angels; in fact, nothing among the utterances allowed to man is felt to be so divine. It bring us near to the infinite”.
 


La musica ci trasporta in una dimensione altra, apre uno spazio fluttuante e ondeggiante, propizia l’ingresso in un presente sonoro prezioso e concentrato, ci avvolge e abbraccia nella sua materia liquida, sonora e graffiante facendoci entrare in un altro ordine del vedere e dell’ascoltare, “una sorta di percezione precategoriale, una visione preverbale”, presignificante. Il suono, scrive Nancy, proviene e si dilata, trascina via la forma. “Non la dissolve, piuttosto l’allarga, le dà un’ampiezza, uno spessore e una vibrazione o un’ondulazione al cui disegno non fa che approssimarsi di continuo”.
La musica ci immerge nell’ascolto delle immagini sonore e visive del video del gruppo islandese dei Sigur Rós. Una musica ancestrale che sembra provenire da un altrove e ci situa in un altrove incantato e sospeso, ci invita, con i suoi vocalizzi distillati e reiterati, a rallentare e ad entrare nell’ascolto per cogliere il risuonare delle cose e dei corpi tra loro, “prima e al di qua dei nostri schemi categoriali e percettologici”. È una musica priva di significato, un linguaggio (vonlenska in islandese) inventato dal cantante e chitarrista del gruppo, fatto di vocalizzi improvvisati, femminei e acuti, espressione di ciò che rimane d’ineffabile di un discorso concettuale. Forse, per questo, all’inizio del video si dice che la musica sia il linguaggio degli angeli: per la sua capacità di approssimarci al divino, all’infinto, a quella dimensione sognante e misteriosa, eterea e terrestre, dolce e impetuosa descritta dai suoni e dalle immagini di “Angeli dormienti”.
Immagini poetiche danzate da creature angeliche, corpi intermedi e intermediari come forse sono i corpi disabili che albergano in una dimensione altra, tra realtà e irrealtà, consapevolezza e inconsapevolezza, in uno spazio misterico in cui si incontrano la vita e la morte, il dolore, il male, la fragilità, la nostra debolezza costitutiva. I loro gesti e i loro sguardi inattesi, concentrati e presenti nell’azione che stanno compiendo è come se mettessero in scacco il sapere, il nostro fare affrettato e risolutivo, le nostre pretese direttive, ci spiazzano, non abbiamo ben chiaro come muoverci, come rispondere, che fare. Forse non possiamo far altro che rallentare, lasciarci condurre da queste guide alate e terrene nel “paesaggio sognante” delle immagini visive e sonore del video e provare a danzare e lasciarci danzare dai suoni, dai corpi e dalle parole in un continuo movimento oscillatorio tra alto e basso, tra terra e cielo.
Il suolo verde e sconfinato sembra rappresentare il radicamento che il corpo mantiene con la terra e a questa concentrazione al suolo risponde, per contro, un’espansione verso l’alto. L’altezza è “messa in evidenza” da uno sfondo bianco e abbacinante da cui sembrano provenire e a cui sembrano ritornare gli angeli, e al contempo è “messa in risonanza” dai suoni, dalla voce, dai gesti e dagli sguardi diretti verso l’alto degli attori. In questo presente sonoro lieve e stridente, creato dalla musica, i corpi giocano, si rincorrono, sembrano essere sul punto di spiccare il volo, si muovono leggeri e leggiadri sulla terra, accarezzano l’aria, si cercano, si abbracciano. E immediatamente dopo l’unione in un atteso e prolungato bacio, avviene la caduta di un angelo a terra. Tutte le creature alate si dispongono in cerchio intorno a quel corpo e inizia una sorta di rituale presieduto da suoni cupi, una voce altisonante e l’arrivo di un uomo vestito di blu, uno stregone, forse uno sciamano, uno psicopompo che presidia la trasformazione dell’angelo nel corpo giallo, luminoso di una nuova creatura. Creatura ambigua, umana, animale o forse vegetale, con una grande spirale disegnata sul petto: simbolo che lega, annoda, congiunge gli opposti, rinvia alla possibilità di una ricongiunzione tra soggetto e oggetto, tra uomo e mondo. Intorno a questa creatura aurea gli angeli iniziano a danzare e volteggiare per poi trovare riposo nella terra. E tenendo lo sguardo rivolto alla terra l’immagine e i suoni si innalzano di nuovo verso l’alto, evocando la presenza di un cielo necessario.
Qui la musica si rende silenziosa e le parole tornano a impastarsi con la materia sonora e visiva per nuovi possibili affioramenti nel paziente e faticoso esercizio di ascolto e restituzione della sonorità delle immagini.
“We haven’t found the words to describe our music. Maybe we will one day. Thanks”. Sigur Rós.

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