giovedì 2 giugno 2011

Saper piacendo


Nostalgici del fallimento, i sacerdoti della fatica ancora sentenziano contro l’imparare dal piacere e il piacere d’imparare. Come se le loro scuole e i loro oratori avessero partorito il sale dell’acume e il seme della curiosità verso le vetuste cattedrali di enciclopedie aride e velenose che spacciano per sapere, invocano le piaghe della passione e i chiodi della tortura per tutti gli edonisti del nuovo millennio. Non paghi di aver mandato in bancarotta ogni traccia di cultura, in virtù di una radicale ignoranza sui meccanismi che sollevano gli occhi verso gli orizzonti iridati della conoscenza, ancora inveiscono sulla facilità dell’oggi contrapposta alla sana difficoltà dell’ieri (che ben pochi superstiti però ha lasciato sul suo cammino, a giudicare dall’inenarrabile ignoranza che impera). Senza nulla sapere del come può alimentarsi il gusto della fatica stessa, che si appaga comunque di una meta agognata e del desiderio, vorrebbero tutti proni a torturarsi in cambio del niente. Eccoli, i predicatori della pesantezza, insofferenti verso qualsiasi indulgenza, poiché “ogni cosa si conquista solo con il sudore”. Vero. Ma quel sudore deve pur avere una meta cui indirizzarsi. Asini sì ma con la carota. Se prima non si è persuaso che è affascinante sapere, che leggere, scrivere e immergersi nell’aspra e pungente atmosfera dell’analisi matematica o della fisica del sublime, accende corpo e mente, come ottengo una fatica che non sia sommaria, finta e di breve respiro? Posso certo agire sul ricatto, sull’eterno flagello della punizione temuta ma quale guadagno otterrò se non quello di vedermi ritorta un’ insipida minestra di lacerti raccogliticci e male impastati? Questo è il frutto dell’imparare per forza, con la fatica agra e senza ricompensa di non capire il che si sta facendo.
Occorre invece deporre la vocazione martirizzante e coltivare la faticosa sì ma remunerante ricerca del sapere ricco, colorato e denso, proposto ancora vivo e palpitante e non inumato nei feretri scolastici -manuali, antologie e eserciziari-, ancora odoroso del suo rinascere, stillante la rugiada della scoperta, dell’evento, della sorpresa. Far incontrare il fatto, non il suo residuo secco, l’autore e la sua presenza, magari per immagini in movimento, per testimonianza e racconti, per pedinamenti e sopralluoghi. Che sia un compimento algebrico, teoretico, letterario o scientifico, estrarne il distillato saporito, come vicenda, intreccio, rappresentazione. Invitare ad appropriarsi, in un’ermeneutica del corpo, drammatizzante e recitante, in un’ermeneutica dell’immagine, meditativa e restitutiva, in un’ermeneutica della scrittura, come proliferazione del senso, in superficie e profondità, filatura e ritramatura, individuale, in gruppo, in ricerca. Disseminazione di seminari dove si fa ricerca cercandosi, diceva Roland Barthes, luoghi in cui l’oggetto e i soggetti si tramano in un’interrogazione reciproca, inseguendosi e insidiandosi, infondendo agli scabri sussidiari il carisma della narrazione mitica, in un osmosi tra fuori e dentro, rendendo i muri permeabili, invitando la vita ad entrare, per essere manipolata, vezzeggiata, massaggiata e, contemporaneamente, spingendo la banda arrapata di cercatori nel fuori, con protocolli minimi, solo i sensi accesi, per oggetti che non siano liofilizzati ma ancora viventi, parlanti, danzanti, in divenire. Solo con lo spirito della “cerca”, di una cerca animata dal desiderio, è possibile poi alimentare la fiamma genealogica, il voler disserrare le celle dei perché profondi, inusitati, sprofondati nel tempo.
All’inizio muovere le vibrisse della scoperta verso i legami analogici, le somiglianze, le screziature che intrecciano gli oggetti del sapere con le pratiche del quotidiano e con gli spazi della produzione di sapere, siano essi atelier, laboratori, officine o sale chirurgiche. Poi torcere il filo verso le testimonianza sepolte, da rianimare attraverso il figurale, l’immaginativo, il balenare del particolare che radica in un tessuto anch’esso vivente, come san fare il romanzo, il gesto poetico, la narrazione appassionata. Soffiar via l’aria morta delle parole grevi e frigide con l’incandescenza delle immagini succose e simboliche, pregne e accalorate, con la carica tutta sangue e pulsione della musica, che racconta il divenire divenendo, mutando, subdolamente alludendo e sbandando, con l’incarnazione sulfurea della recitazione, del trasmutar parole e paesaggi e idee in attriti, in contatti e in contagio di forze, in intrecci di versi, di gesti, di sudori e salive.
Contro i profeti della ascesi come ristrettezza e rinuncia, che vorrebbero l’economia del niente e contro i saccenti che invece vogliono ridurre la cultura alle cacologie alambiccate che loro coltivano per ostruire ogni accesso a quel piacere che li turba e li destabilizza, c’è bisogno sovrano di abbondanza e di profusione, di generosità e di espansione, di maestri accesi, di insegnanti pieni di sale e di fuoco, di guide prodighe di avventura perché sono ancora anch’esse nell’avventura della “gnosi”, -la conoscenza partecipativa che non scinde i sensi e non separa la luce dal mistero-, e dei suoi molteplici percorsi aerei e sotterranei.
La fatica si fa per passione, non ci si appassiona alla fatica, e chi lo fa forse deve espiare qualcosa. Ma sulle colpe non si costruisce il gusto di sapere.

2 commenti:

  1. Sono estasiata dalla lettura di questo post in questo blog che scopro per caso.Finalmente senza pudore qualcuno osa dire con passione e vigore che non c'è altro che il piacere del fare insieme, della scoperta, della fatica e dei legami che sapremo costruire nelle nostre aule scialbe e spente dove stiamo perdendo ciò che di più bello e prezioso entra: i nostri bambini, i nostri ragazzi, il futuro. Io sono una maestra di scuola elementare e costruisco, come un artigiano, contesti di apprendimento, dove i miei bambini provano la fatica del fare che sarà poi ricompensata dal piacere di sapere. Lo dico con gioia, perchè la didattica attiva e cooperativa, porta in sè questo valore di costituirsi come una piccola comunità solidale, dove la vita entra a pieno titolo. E' vita vera alimentata da una costante ricerca, secondo la norma freinétiana (Celestin Freinét) dell’ expérience tatonnée: ricerca sempre aperta condotta per prove ed errori, con atteggiamento critico poiché non c’è via che possa considerarsi definitiva e valida per tutti, non vi è procedimento che non debba essere integrato e aggiornato,adeguato alle circostanze ambientali per costruire davvero il gusto dell'imparare e del sapere.

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  2. Gentile Luisanna, grazie per il suo commento. Se vuole ritrovare una proposta contoreducativa in linea con le nostre idee, questo testo e altri anche non pubblicati nel blog, li trova in un piccolo volume dal titolo Piccolo manuale di controeducazione, Mimesis, Milano. Tra i pochi, bisogna unire le forze!

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