
venerdì 8 giugno 2012
Fuoco e corpo immaginale

sabato 2 giugno 2012
"ROSSO". La visione forgiata nell'officina di Mark Rothko.
Una
volta l’arte era un’impresa solitaria: niente gallerie, niente collezionisti,
niente critici, niente soldi. Non avevamo maestri. Non avevamo genitori.
Eravamo soli. Eppure è stato un periodo d’oro perché non avevamo niente da
perdere e tutta una visione da guadagnare. (Mark Rothko)
Le
luci si abbassano, il buio immerge gli spettatori nel silenzio e nell’attesa, l’oscurità
avvolge gli attori nella tensione di un’ansiosa aspettativa che si ripete e si
rinnova ogni volta nel gioco di una rappresentazione. Il nero crea uno spazio e
un tempo di sospensione che permette all’evento teatrale di germogliare. Poi lentamente
l’incertezza tenebrosa si dirada circondando e custodendo la radura del
palcoscenico da cui emergono due tele di grandi dimensioni. Un uomo le guarda.
Dopo qualche istante entra in scena un giovane al quale l’artista chiede «Cosa
vedi?» e lo esorta ad avvicinarsi all’opera, a lasciarsi abbracciare da essa,
ad immergersi in essa, nella densità e nelle trame del colore. Così inizia lo
spettacolo “Rosso” in scena fino al 3 giugno al Teatro Elfo Puccini di Milano.
Così il pittore Mark Rothko invita il suo nuovo assistente e lo spettatore a
partecipare con tutto il suo corpo, la sua mente e i suoi sensi nella sua
opera, a lasciarsi avvolgere ed inglobare in essa, nella profondità
superficiale di un rosso circondato, penetrato e sfumato dal nero.
Le
opere di Rothko, Deep Red on Maroon e
Mural for End Wall, divengono la
guida di un percorso di sprofondamento dello sguardo, di dissoluzione di una
visione giudicante che imprime sulle immagini valutazioni estetiche e
moraleggianti, di abbandono di uno sguardo mercificante che si impossessa di quadri
per definire, nella società della “chiacchiera”
e dell’apparenza, il proprio status sociale
ed economico, di distruzione di una facoltà meramente creativa che si limita a produrre
nuove forme della realtà dimenticandosi e abusando di essa. Le opere di Rothko
costituiscono la premessa e il punto d’approdo dell’apprendistato del giovane
che si fermerà per «due anni, cinque giorni alla settimana, otto ore al giorno»
nello studio del pittore inondato di molteplici tonalità di rosso che macchia
il pavimento, straborda dalle pentole e dai barattoli di tempera, cola dai
pennelli, impregna i vestiti. E lo studio di Rothko diviene per l’allievo e per
lo spettatore luogo dove sostare per discendere, rimanere per contemplare e
lasciarsi intridere dal rosso.
Il
rosso è vita, affermazione della vita nella chiara consapevolezza della morte. É
inquietudine, caos e ordine, tensione e meditazione, rabbia e pacificazione, passione
e dolore, luce e tenebra. È il colore denso e scuro del sangue che si rapprende
e coagula nel biancore della neve nel flusso impetuoso di ricordi del giovane. E’
il rosso acceso e vivo che scorre dalle vene del pittore preannunciando il suo
suicidio. È il tono amaranto che l’artista e il suo allievo dipingono in un
corpo a corpo con l’opera. È il colore di un’operatività che rimanda metaforicamente
all’alchimia che, come spiega lo stesso Rothko, è un continuo «farsi e disfarsi dal
concreto all’astratto e di nuovo al concreto», in una processualità senza fine,
in un continuo svolgersi oscillatorio di un processo di bilanciamento
inarrestabile.
Lo
spettacolo si conclude con l’artista che guarda la sua opera. É in piedi, vicino
alla tela, col capo reclinato, in labile e instabile equilibrio sembra essere
sul punto di immergersi nell'immagine, di dissolversi in essa, di rendersi
invisibile dopo aver licenziato il suo assistente e dopo aver restituito le sue
opere alla penombra, togliendole dalle sale del prestigioso ristorante Four Seasons di New York per cui erano
state concepite.
E
noi spettatori non possiamo far altro che uscire dalla sala attraverso l’opera
stessa.
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