mercoledì 16 febbraio 2011

Per una pedagogia immaginale d'infanzia


L’infanzia, a cui fa riferimento la pedagogia immaginale non è intesa in senso letterale, ma nella sua dimensione archetipica di stagione immaginativa per eccellenza. Diventa una condizione conoscitiva più che una posizione anagrafica, una modalità che non classifica, non categorizza e non scinde la realtà, ma al contrario, grazie a uno sguardo appassionato e attento, ne tenta una ricomposizione. Infanzia, dunque, come possibilità di uno sguardo che può connettere e collegare ciò che il nostro atteggiamento separatore, razionale, classificatorio ha diviso e separato per imporsi ed ergersi sul mondo, dimenticando di esserne parte, distaccandosi da esso. Con uno sguardo che tenta di sensibilizzare e far brillare l’ingenuità, l’invisibilità, la corporeità, l’incertezza, la solitudine, il procedere incespicante e curioso del Paìs. Lo sguardo d'infanzia si pone al tempo stesso come pre-condizione e punto di approdo di un percorso immaginale, via d’accesso alle immagini e riscoperta di “quel nucleo infantile atemporale” che permane, come suggerisce Bachelard, in ogni animo umano e che si rivela nelle immagini dei poeti.
Le proposte educative, rivolte all’infanzia dal panorama pedagogico attuale, incarnano e declinano, nella maggior parte dei casi, alcuni miti formativi di cui è impregnato il nostro mondo adulto; miti come la crescita, il miglioramento, il cambiamento che rivelano il loro statuto di perno ideologico su cui si fonda la nostra società, ove chi voglia ottenere il successo debba porsi come obiettivo il crescente sviluppo delle proprie potenzialità, il veloce superamento delle contraddizioni e dei dubbi, il pronto oscuramento dei propri limiti e difficoltà. La ricetta dell’Up or Out si accompagna alla sfrenata ricerca della novità che, anche in campo educativo, tenta di esorcizzare il fantasma della noia, non tollera la perdita di tempo, né la pratica della ripetizione, fugge il già visto ma anche l’invisibile, a favore di orizzonti ben più luminosi e programmabili.
Al centro dei discorsi e delle pratiche sul bambino, dunque, c’è sempre un’immagine di soggetto attivo, protagonista, creativo e inventivo, se possibile produttore, anche se di prodotti svalutati col termine di «lavoretti». Il bambino, a fronte di una presunta attenzione e valorizzazione della sua specificità infante, viene in realtà impegnato in una moltitudine di attività da uno sguardo adultificante che lo vorrebbe sempre più competente, creatore, fantasioso. Un bambino che viene continuamente e ossessivamente stimolato e poi misurato, valorizzato, compiaciuto o consolato. Ma nella continua ossessione attivistica il bambino soffre, gli viene sottratto il tempo del riposo, della solitudine, della noia, delle sue «rêveries» di bambino solitario.
La pedagogia immaginale ci richiama ad uno sguardo nuovo, meno netto ed eroico; ci invita alla riscoperta di un’impronta notturna, bachelardiana, nel rapportarsi con se stessi, gli altri, il mondo ovvero ad essere segnati più dalla contemplazione che dall’azione. Questo «sguardo ritrovato» può abitare anche il bambino, a patto che sappia soggiornare nel mondo in modo più umile, assorto e contemplativo. Lo sguardo infante, infatti, a dispetto del nome, non è spontaneo o naturale nel bambino, l’infanzia dello sguardo è semmai una promessa, un traguardo, dal momento che richiede concentrazione, passione, cura. Crediamo sia necessario riequilibrare la parcellizzazione del conoscere, la preoccupazione per gli apprendimenti formali e il sapere disciplinare, il vincolo dei programmi che si impone a partire dai primi anni della scuola primaria e si insinua anche nella scuola dell’infanzia. Una pedagogia immaginale d'infanzia invita a fare esperienza con un approccio orientato alla dimensione simbolica e immaginativa, attraverso una postura conoscitiva che non abbia la pretesa di svelare un unico e definitivo significato nelll'esperienza, che non si ponga in prensione rapace dell'esistente, ma che al contraio, si rivolga, come spaesata, in una ricerca continua di possibili risposte e significazioni, che sia rivolta all'Aperto. Il tempo dell'educare si riscopre così come momento sottratto alle logiche produttive, come momento di compensazione per equilibrare la frenesia insistente della performance, come momento rituale e profondamente spaesante per imparare a decentrarsi e a conoscere con passione, senza l'ansia di aggiungere, infilare o inculcare particolari apprendimenti.
Una pedagogia immaginale d'infanzia propone un'amicizia intima tra bambino e opera d'arte sotto il segno della contemplazione, valorizzando con i bambini proprio l’accostamento e il momento dello sguardo che si posa sull’opera come momento magico, in cui avvenga un incontro particolarissimo, carico di mistero e di stupore con il mondo del totalmente altro, dell'inconsueto. Le immagini diventano per il bambino uno scrigno antico e misterioso, colmo di significati simbolici da esplorare e in cui perdersi e per avvicinarsene dovrà compiere un percorso di avvicinamento progressivo, dovrà sostare con esse, provare a nominarle interpretarle condividendo con gli altri questa nuova e atavica passione.  
Elisa, Francesca, Sara
 

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