mercoledì 5 gennaio 2011

Miseria e sconforto dell'uomo a una dimensione(ma anche meno), Marchionne


Provo una grande pena per il povero Marchionne, e non mi si fraintenda: una pena vera, autentica, profonda. Quest’uomo dall’inarrivabile successo, dal gigantesco patrimonio, dal ruolo invidiatissimo e stimato da un numero enorme di persone, fa davvero tenerezza.

La pena, quasi il cordoglio, scatta non appena lo si vede, triste e bolso, con quel ridicolo unico e obbligatorio maglione blu. Forse uno dei tanti “look” simbolici che ha imparato ad assumere (seppur con dolore e sofferenza) per assomigliare al concetto di riconoscibilità che i professionisti dell’immagine dichiarano “efficace”: forse dovrebbe evocare, con una strizzata d’occhio, la somiglianza con le “tute blu”?. Pensatelo la mattina: non ha scelta. Davanti alle possibilità smisurate che il suo portafogli gli aprirebbe, di modificare, ogni giorno, immagine, taglio di capelli, foggia delle scarpe, eccolo condannato a questo insignificante e del tutto invisibile abbigliamento, che ne fa una via di mezzo tra il professore di applicazioni tecniche e il tardivo studente di canto gregoriano. Povero Marchionne, la nuova “icona” dei top manager degli anni 0.

E poi sentiamolo parlare: è sconcertante. Anni e anni di studi, di esperienze all’estero ed ecco che se ne esce con un “codice linguistico” che Bernstein avrebbe solo potuto definire “ristretto”, ma con un eufemismo. Un nastro rallentato cacofonicamente nasale, mellifluo e ripetitivo, come quello che potrebbe produrre un carillon guasto, in cui si distinguono per occorrenza inesauribile tre vocaboli, raramente coniugati o declinati nelle loro diverse forme: “produrre”, “profitto”, “costi”. Il tutto a voce bassa e monocorde, come un flicorno svizzero. Niente, non se ne cava nient’altro. Nulla gli balena di più stimolante di quei tre vocaboli e delle loro infinite possibili combinazioni. “Abbassare i costi per produrre profitto”, “il profitto nasce dalla diminuzione dei costi e dall’aumento della produttività”, “i costi non possono aumentare altrimenti la produzione non permette di ottenere il profitto”, e così all’infinito. Che miseria, che tristezza, che ingiustizia perfino. Ma possibile che sia stato programmato in maniera così drastica da non lasciare alcuno ad altre espressioni, magari qualche aggettivo, o addirittura qualche avverbio? Niente da fare. Non si riesce a scucirgli altro. Chissà se un logopedista o un terapeuta del lessico potrà mai suscitare in quella mente straziata dal jet lag e dalla mancanza di riposo il dubbio che non tutto il sale della vita possa essere compendiato in quelle tre parolette? Di contro occorre riconoscere che sa la geografia. Nel suo cervello le fonti di profitto e i mezzi di produzione possono essere collocati indifferentemente all’est come all’ovest, al sud come al nord, India, Pakistan, Sudamerica, Polonia, ma sempre purchè i costi possano essere ridotti.

Guardandolo non si può resistere allo slancio caritatevole, al desiderio di aiutarlo, povero Marchionne, costretto a dire sempre le stesse cose. Certo i rinforzi gli devono essere stati somministrati a meraviglia, da grandi programmatori. Ogni volta il suo condizionatore personale, il personal trainer, gli diceva, bravo Marchionne, ripeti ancora, ripeti ancora. E via carezze, e poi caramelle, e poi soldini. Povero Marchionne.

Tuttavia la cosa più amara e deprimente è quando, in brevi e appassionate confessioni, cortocircuiti della sua meccanica inesorabile, gli sfugge qualche confidenza su di sé, sulla sua vita intima. Una volta, con un tremito di imbarazzo, ha dovuto ammetterlo. Niente, non ce l’ha. Lui lavora tutto il tempo, sempre, forse riesce a riposare un’ora o due al giorno. Per il resto sempre e solo lavoro. Ha moglie, ha figli ma niente, non li vede mai. Questo è davvero vergognoso. Possibile che un uomo possa essere stato tanto deprivato, tanto anestetizzato, tanto asservito alla macchina da cui dipende, da non riuscire a ribellarsi a questo? Possibile? E poi, un così importante personaggio?

Che discorsi si farà nell’oscuro delle sue due orette di riposo, nei divani superaccessoriati della business class, nelle suite d’albergo di cui neppure può sfruttare tutti gli innumerevoli pregi, gemente e febbrile? Che cosa si racconterà, quando l’ennesima giornata sarà passata e si sarà reso conto di aver usato per ventidue ore filate sempre le stesse parole, di essersi vestito sempre con lo stesso ormai consunto maglioncino blu e di aver sacrificato tutto il tempo che umanamente un uomo può dare per una causa come quella della pur reverendissima multinazionale Chrysler FIAT? Che cosa si racconterà?

E noi, cosa possiamo fare? Come possiamo aiutarlo? C’è un modo di curare un caso di tale gravità? Che si può fare per lenire il dolore terribile alimentato in lui dal silenzio e dalla repressione? Che fine avranno fatto lo spirito libero, il desiderio di avventura, l’ amore per gli animali, la cura di sé, i piccoli vizi, il piacere di un lungo riposo al mattino, nel lettone, e poi una bella partita a tresette, con gli amici. E fare l’amore per ore, mangiare con gusto, guardare il mare…

Come si può risarcire un uomo che rinuncia a tutto questo per il bene della sua impresa, certo com’è, oltre tutto, che quel bene corrisponda al bene di tutti, al bene del mondo? Come si fa mi chiedo, e me lo chiedo nello sgomento e nello sconforto…

1 commento:

  1. Mi chiedo se l'unica risposta possibile alla domanda "ma come fa? possibile?" non sia che tutte le rinunce e le deprivazioni trovano costantemente in noi una fonte di piacere che le giustifica. Non perché l'anima sia come un libro contabile, ma perché anche la peggiore malattia è sempre una soluzione a un problema. Anche uno stile di vita come il suo, in cui forse è il potere ciò che gratifica. E siccome noi non possiamo farci nulla, l'unica cosa che possiamo fare non è diretta a lui, ma ai meccanismi economico-politici che permettono ad una vita così amara di condizionare (forse ben più) amaramente la vita di molte altre persone. Condivido il senso di tristezza che Marchionne comunica. Ma non ho potuto fare a meno di pensare che se fossi un operaio Fiat non mi porrei nemmeno il problema; come dire: il cancro non va solo compreso ma anche combattuto. Ecco, provo profonda tristezza per tutto ciò che ha portato Marchionne a essere ciò che è, dopodiché ognuno conta anche sulla propria intenzionalità e creatività, sulle soluzioni che trova ai propri mali. Non riesco a provare pena per le sue scelte di vita, direi invece rabbia.

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